Un caffè con ... Carlo Lepore

Abbiamo incontrato il celebre basso/baritono Carlo Lepore. Vincitore di diversi concorsi tra cui il Giovan Battista Pergolesi di Roma, Adriano Belli di Spoleto e il Tiberini d'oro, ha partecipato al Rossini Opera Festival, alla Settimana Musicale Senese, al Macerata Opera Festival e al Ravenna Festival; ha inoltre cantato al Teatro dell'Opera di Roma, al San Carlo di Napoli, alla Scala di Milano e all'Arena di Verona e su tutti i principali palcoscenici del mondo. E' stato Don Bartolo ne Il barbiere di Siviglia di Rossini in scena al 100° Arena Opera Festival andato in scena a giugno.  

Una carriera segnata da grandi successi su palcoscenici importanti, con un ampio repertorio che parte dal barocco, attraversa il Settecento, l'opera buffa e arriva fino al Novecento, passando dalla letteratura liederistica. Si considera un predestinato? 

No, ho studiato per mia volontà e curiosità il repertorio più vasto possibile, andando per gradi. Credo di poter affermare di essere partito da zero, anzi da sotto zero, perché da ragazzo non ero minimamente attratto dalla musica lirica, ma da quella popolare sì. 

Ha un ricordo particolare? Quando è entrata la musica nella sua vita? 

Suonavo la chitarra come autodidatta, mio padre aveva orecchio musicale e me lo ha trasmesso. Poi un giorno fui incuriosito dalla tecnica vocale e mi feci ascoltare dal mio primo maestro di canto. Avevo diciannove anni e non avevo mai studiato musica. Da quel momento iniziai ad essere naturalmente attratto dai cantanti che senza microfono riuscivano a proiettare la voce in teatro, tanto da poter oltrepassare l'orchestra. Così decisi di tentare l'audizione in conservatorio, anche se non fu facile. Entrai al terzo tentativo. Stiamo vivendo un momento molto difficile, soprattutto per i teatri. 

Sta preparando un nuovo ruolo? 

Ogni ruolo che preparo per me è sempre nuovo, anche se l'ho già eseguito molte volte. Con l'esperienza maturata sento sempre di poter migliorare e aggiungere dettagli espressivi. Al momento ho in programma ruoli di repertorio, ma non trascuro di dedicarmi a quelli che spero di poter interpretare prima o poi. Così leggo un po' di Tosca, ogni tanto, per vedere a che punto sono rimasto... 

Se non avesse fatto il cantante cosa le sarebbe piaciuto fare? 

È una bella domanda. La musica è la mia vita. Ho studiato giurisprudenza e conseguito la laurea in legge prima di entrare in conservatorio, ma non mi sarei visto bene come avvocato, nè come ufficiale dell'esercito, come avrebbe voluto mio padre. Mi sono cimentato nella carriera artistica con tutte le forze e ho puntato a dare il meglio in questo. 

Come artista lirico ha studiato, vissuto ed incarnato i personaggi; Verdi aveva una straordinaria capacità di scolpirli e dare loro vita. Anche il pubblico melomane vive delle emozioni date dagli artisti. Ricorda un complimento che l'ha particolarmente gratificata? 

Ogni genere di complimento, purché sincero, fa sempre piacere ad un artista. Il mio studio parte proprio dalla capacità di saper impersonare un ruolo sin da quando comincio a leggere la parte, poi magari la regia lo stravolgerà... Le indicazioni musicali forniscono molte informazioni sui personaggi ed è bene sempre risalire alle fonti da cui è tratto il libretto. Ad ogni modo credo che quando si ricevono i complimenti è perché si è fatto un buon lavoro. 

Una domanda provocatoria: cosa pensa dei critici musicali? 

I critici fanno il loro lavoro, a volte ci prendono, altre volte seguono le tendenze, ma è importante non farsi condizionare da quello che scrivono e giudicare sempre con il proprio gusto. Quando parlano bene è ovvio che fa piacere. 

Prima di entrare in scena i cantanti, notoriamente, compiono riti scaramantici: dai colpetti di tosse al "MIAEU" passando per gli intramontabili "Dammi la mela, Pippo ..." oppure "Ampelio!" per cercare i suoni in maschera. Qual è il suo? 

Prima di entrare in scena io faccio dei vocalizzi precisi, pochi ma buoni, che ho studiato con la mia maestra e che considero molto utili. Nessun rito scaramantico. La voce va scaldata bene, sempre; le U e le I sono particolarmente buone per me. 

Altra domanda provocatoria: cosa pensa dei maestri di canto? 

I maestri bravi servono sempre. Io ho faticato molto a trovarne uno e me lo sono tenuto stretto. Saper cantare è una cosa, saper insegnare un'altra: non sempre coincidono ma a volte è possibile. Un bravo maestro è il tuo orecchio esterno. Egli ha il compito di far raggiungere all'allievo, attraverso i propri mezzi, il miglior risultato possibile. Alla fine è l'artista a dover fare ordine nella propria esecuzione tenendo conto degli insegnamenti appresi e farsi dunque giudicare dal pubblico. 

In quale teatro, o sala da concerto, ha trovato le migliori condizioni acustiche? 

I migliori teatri sono quelli costruiti da progettisti italiani, come il Colón di Buenos Aires, per esempio, che con i suoi 4000 posti vanta un'acustica perfetta, direi impressionante. Mi piacciono molto anche il San Carlo, l'Opera di Roma, il Comunale di Bologna e il Pergolesi di Jesi. A Pesaro ho trovato molto acustica l'Adriatic Arena, anche se ho cantato quasi sempre al Teatro Rossini, dove mi trovo molto bene. Ottimi l'Opèra di Parigi, la Royal Opera House di Londra, il Real di Madrid e il Bolshoi di Mosca. Particolarmente comodi anche i Teatri in Giappone e l'Opera di Pechino. 

Il pubblico più caloroso che ha incontrato? 

Il pubblico più caloroso è spesse volte anche il più pericoloso. Un pubblico tiepido tende ad essere meno agguerrito se non gradisce. Il pubblico è lo specchio della propria arte: se hai fatto centro ti gratifica, ma può anche essere cattivissimo. Non posso stendere una graduatoria... Ricordo alcune recite seguite da interminabili applausi e ovazioni al Regio di Torino, alla Scala di Milano, al Rossini di Pesaro, ma anche a Pechino, Tokyo e Londra. Non si trova mai un pubblico uguale ad un altro. Voglio sottolineare che gli spettatori sono parte integrante dello spettacolo e ci danno la misura di come stiamo facendo il nostro mestiere. Una recita senza pubblico è sterile e non riesce a entusiasmare. 

Ultima domanda provocatoria: cosa risponde a chi dovesse chiederle qual è il suo mestiere "vero"? 

Chi ci osserva da fuori spesso non si rende conto del fatto che la carriera artistica impone tantissime privazioni e sacrifici. Lo spettacolo finale è il risultato di un periodo lunghissimo di studio, prove e viaggi stressanti. Alla fine sul palco, quando si apre il sipario, tutto deve apparire facile e deve uscire solo il meglio di quanto si è fatto e si sa fare. Bisogna provare per credere. Nonostante tutto, sono felice di aver scelto questa strada. La musica è il mio unico mestiere. 

Gian Paolo Dal Dosso