Un caffè con ... Alessandro Bonato






(Foto: Leonardo Ferri, Accademia Nazionale di Santa Cecilia)
Abbiamo incontrato il giovane direttore d'orchestra veronese Alessandro Bonato, recentemente impegnato nelle recite de Il barbiere di Siviglia di Rossini all'Arena di Verona.
Una carriera iniziata sotto i migliori auspici e già segnata da importanti affermazioni. Si
considera un predestinato?
Sicuramente esiste una predisposizione a fare determinate cose piuttosto che altre (in ogni campo, se pensiamo ai grandi dello sport o gli scienziati più brillanti). Questo non toglie, in ogni caso, lo studio assiduo e gli enormi sacrifici per arrivare ad esaudire il proprio sogno: ne ho fatti molti, ne farò sicuramente ancora, ma ognuno di essi ne è valso la pena.
Ha un ricordo particolare? Quando è entrata la musica nella sua vita?
Ho iniziato a prendere in considerazione la musica come parte reale della mia vita quando ho iniziato a studiare violino alle scuole medie ad indirizzo musicale. Li, toccando la musica con mano, ho capito che sarebbe diventata la compagna della mia vita, e che avrei sempre combattuto per essa, mettendola sempre al primo posto. Questo si sente anche quando dirigo, in particolare quando cerco il rispetto più fedele e totale alla partitura, a quanto scritto dal compositore e alla "veridicità" della musica. Per me la musica deve essere vera, onesta.
I suoi prossimi impegni?
Dovrò dirigere al Festival Respighi con l'orchestra Toscanini, poi andrò in Francia con l'accademia della Scala e poi aprirò la stagione autunnale del Teatro Filarmonico di Verona con la prima italiana dell'Amleto di Franco Faccio.
Al di fuori delle recite e dei concerti c'è un momento particolare della giornata in cui pensa
alla musica?
Purtroppo sempre. La musica non mi abbandona un secondo. Come diceva Beethoven "la mia testa con conosce il silenzio" e un po è vero. Anche la notte, il più delle volte, penso e ripenso a passaggi musicali, note, sfumature.
Se non avesse intrapreso l'attività di direttore d'orchestra che cosa le sarebbe piaciuto fare?
L'avvocato, probabilmente penalista. Ho sempre amato la legge e la difesa dei diritti e sono un grandissimo appassionato di criminologia e thriller.
Ricorda un complimento che l'ha particolarmente gratificata?
Ce n'è uno molto recente. Sono stato da poco a dirigere il Requiem di Verdi con il meraviglioso coro di Santa Cecilia (davvero meraviglioso!!) e, finito il concerto, diversi artisti del coro mi hanno preso da parte e mi hanno detto: "Complimenti davvero, lei ci ricordava Giulini da giovane e noi abbiamo lavorato molto con lui". Credo non serva aggiungere nulla. Li ringrazio ancora.
Una domanda provocatoria: cosa pensa dei critici musicali?
Penso che il lavoro del critico musicale sia di importanza fondamentale, sia per l'aspetto costruttivo che per quello giornalistico e di cronaca. Io conosco molti critici di caratura intellettuale invidiabile, musicalmente preparati, con una scrittura avvincente e stimolante. Il problema, a mio avviso, della critica odierna è che, alle volte, taluni si spacciano per critici quando critici non sono. È un lavoro che merita rispetto, specialmente dagli addetti ai lavori. Una persona a me molto cara mi ha sempre insegnato che quando ci si trova davanti ad una persona in qualità di commissari o giurati si è chiamati a "valutare" e non a "giudicare". Credo sia un insegnamento prezioso, specie in questi tempi dove i giudizi, specialmente quelli cattivi, sono elargiti con grande facilità e superficialità.
Prima di entrare in scena gli artisti, generalmente, compiono riti scaramantici: qual è il suo?
Io non ne ho mai avuto uno a dire il vero. Cerco di sgomberare la mente, pensare a tutt'altro. I dubbi vengono sempre, anche mentre si sale sul podio, è naturale, ma non ci si deve far distrarre.
Altra domanda provocatoria: cosa pensa delle orchestre italiane e quali sono le differenze con
quelle europee?
Non credo ci siano differenze francamente. Le orchestre si dividono in buone e meno buone, come i musicisti o i direttori si dividono in buoni o meno buoni, qualsiasi sia la nazionalità o lo stato di appartenenza. Io, personalmente, ho un bellissimo e duraturo rapporto con diverse orchestre italiane e ci torno sempre con enorme piacere.
In quale teatro, o sala da concerto, ha trovato le migliori condizioni acustiche?
Al Musikverein di Vienna. Quel teatro è davvero incredibile.
Il pubblico più caloroso che ha incontrato?
Due volte sono stato colpito dal calore del pubblico: la prima volta al Teatro Grande di Brescia, alla prima della Norma lo scorso anno. Tutto esaurito, pubblico entusiasta di riascoltare la Norma dopo più di 10 anni e in versione integrale. Ricordo che, oltre alle ovazioni alla fine dell'opera, quando entrai per il secondo atto scatto un grande applauso e, appena alzai la bacchetta, dal loggione urlarono "sei un grande" e parti subito un altro fortissimo applauso. La seconda volta all'ultima recita di Barbiere all'Arena di Verona. Quando hanno dato la mezza sala alla fine ho visto tutto il pubblico (circa 15 mila persone) alzarsi in piedi e tributarci di una standing ovation. Davvero emozionante.
E' ben nota la recente polemica de "La bohème" a Torre del Lago diretta da un suo collega
bendato, che dissentiva sulla regìa moderna e sessantottina. Lei cosa pensa degli allestimenti
moderni con trasposizioni d'epoca?
Io sono assolutamente favorevole alle trasposizioni registiche. Non amo molto questo odio pregiudizievole nei confronti dei registi che provano a portare in scena una idea nuova. Tanti si chiedono: ce n'è bisogno? Per me sì, si devono cercare cose nuove nella musica e, specialmente nel teatro sennò muore e soprattutto non è più attuale. Il teatro e la musica da sempre vivono di attualità, di società, di storia. Chiaramente la trasposizione mi piace quando ha senso, quando è logica e quando non stravolge il libretto (che non vuol dire dargli una nuova chiave di lettura). Se vengono rispettate le caratteristiche dei personaggi, le loro relazioni e i caratteri non vedo il tradimento del libretto. Solo perché il tenore è vestito con una divisa da soldato della seconda guerra mondiale piuttosto che da gladiatore? (È un esempio di fantasia per non fare torti a nessuno). Per rileggere un grande classico ci vuole intelligenza, studio e rispetto ma non vuol dire che non si possa fare. La storia della musica si basa sulla rottura degli schemi. Prendiamo l'armonia per esempio: vista dall'alto è come una cipolla, piena di cerchi concentrici. Man mano che la storia avanzava, e con essa le scoperte, l'armonia si allargava, includendo accordi o passaggi armonici che prima ripudiava e questi, man mano, diventavano di uso comune. Con le regie credo sia lo stesso: conoscere bene la storia, il libretto e la musica, capirle e rispettarle per poi, perché no, provare a darne una nuova lettura. Poi se piace bene, altrimenti non resta che farsene una ragione.
Ultima domanda provocatoria: cosa risponde a chi le chiede qual è il suo mestiere "vero"?
Che sono fortunatissimo perché, da disoccupato, posso vivere solo delle mie passioni.
Gian Paolo Dal Dosso